Guida all’ascolto di “Caos”, l’album con cui Fabri Fibra si conferma sul trono del rap italiano

È un “Caos” ordinato quello di Fabri Fibra, che torna a cinque anni da “Fenomeno” con un album che appare come l’insieme di tutto ciò che ha fatto in oltre vent’anni di carriera. Un progetto in cui ogni brano evoca un suo disco del passato, mostrandoci quindi tutte le sue diverse sfaccettature: abbiamo la denuncia sociale che s’incontra con il disagio personale, l’irriverenza con l’introspezione, i testi più feroci con le hit.

Intento confermato da “Intro”, l’inizio del viaggio: due strofe che ripercorrono tutta la discografia del rapper marchigiano, dagli esordi allo sbarco in major (“Siamo nel 2004, esce Tradimento / primo in classifica, per me è un evento“), dalle prime difficoltà (“2009, la stampa che non capiva / Incomprensioni, chi vuol essere Fabri Fibra?“) alla definitiva esplosione (“Controcultura e va da sè, comincio a guadagnare / con il rap tutti dentro il locale tranne te / siamo nel 2010, sei commerciale“). Il campionamento de “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli (“Se l’hip hop fosse una donna le direi / quando sei qui vicino a me / questo soffitto viola, no non esiste più / io vedo il cielo sopra noi“) è una dichiarazione d’amore nei confronti della musica e dice di un artista sempre in grado di spiazzare.

Amore per la musica significa anche rivendicare la propria importanza nella scena: è l’obiettivo delle successive “Goodfellas” (con la partecipazione di Rose Villain) e “Brutto figlio di”. La prima ha un atteggiamento aggressivo nei confronti degli altri rapper (“C’è un rapper che mi dissa nelle storie / l’ho lanciato dal balcone, perdonami Signore“) e ricorda che “La maggior parte dei rapper che ascolti ora / sono cresciuti tutti ascoltando la mia roba“; la seconda ripete come un mantra la frase “brutto figlio di puttana” e avvisa tutti che “Tra le uscite della settimana ci sono ancora io“.
Canzoni che recuperano la fame degli esordi e risultano perfette per un ritorno dopo tanti anni di assenza, quasi a dire ai colleghi più giovani: “Mettetevi comodi e ascoltate come si fa”.

Inizia quindi una fase con i tre brani più spendibili per le radio, anche grazie a dei ritornelli decisamente accattivanti.
In “Sulla giostra” Neffa aggiunge atmosfere da privè a un testo che riflette sul rap in Italia oggi che è diventato moda e ogni giorno nasce una nuova stella che rischia di sparire nell’arco di poco tempo (“Tutti che rappano e spariscono in due mesi“), e sulla condizione generale dei rapper, costretti ad accettare qualche compromesso per arrivare al successo (“Ti compri casa solamente con le hit“).
“Stelle” vede la partecipazione di Maurizio Carucci degli Ex-Otago ed è la nuova “Pamplona”: atmosfere da disco che si contrappongono a un testo agrodolce (“Quando arrivano i soldi e la fama i veri amici dove sono? / Ero dentro una villa di lusso a Los Angeles, sì ma da solo“).
“Propaganda” è il singolo scelto per accompagnare l’uscita del disco ed è la storia di un elettore deluso dal candidato politico di turno, qui impersonato da Colapesce e DiMartino diretti nel cantare come la politica illude le persone (“Magiche le elezioni / a fare promesse siamo i campioni“). L’intero brano sembra lo sviluppo di un concetto ripetuto più volte nella title-track di “Controcultura”, album di 12 anni fa: “Insulti il politico ma poi lo rivoti“. Non a caso, l’elettore che nella prima strofa perde il lavoro e che nella seconda si illude, sbagliando, che qualcuno glielo possa ridare (“Finalmente qualcuno che pensa alla gente e che mi dà un lavoro“), nella terza è disposto a credere ancora alle promesse di un nuovo politico: (“Accendo la tele, un politico parla, sembra interessante, ascoltiamolo un po’ / fa mille promesse, la gente lo guarda, sicuro alle prossime lo voterò“).

Le collaborazioni proseguono con la traccia che dà il titolo al disco, dove tre stili diversi (quello di Lazza nel ritornello, di Madame nella prima strofa e di Fibra nella seconda) convivono alla perfezione in un brano dalle tinte malinconiche che racconta quella sensazione che ci si ritrova a vivere quando si sta per molto tempo lontani da ciò che ti fa stare bene. È il testo figlio più di tutti della pandemia: “Era la stessa vita nello stesso posto / gli stessi pensieri ogni cazzo di giorno / preso male dentro mi sentivo morto“.
“Pronti al peggio” vede la presenza di Ketama126 e assume invece tinte rock nel racconto di uno stato mentale, quando sai che le cose ti stanno andando bene ma sai che da un momento all’altro potrebbe finire tutto: “So come arrivare ma la strada è buia / pronti al peggio, non esiste la fortuna“.

Arrivano quindi tre tracce soliste che sono le più coraggiose e fuori dagli schemi dell’intero progetto.
“Fumo erba” è il racconto degli effetti negativi della marijuana dopo un uso prolungato, tra problemi di comprensione (“Vado a fare le interviste senza capire le domande“), mancanza di ispirazione (“Neanche so fare più freestyle perché non trovo più le rime“) e sensazione di oppressione che causa pensieri estremi (“Un giorno di questi giuro mi ammazzo“), da parte di chi è riuscito a disintossicarsi. Le urla in sottofondo e la richiesta finale (“Qualcuno venga ad aiutarmi“) acuìscono questa sensazione di ansia e inquietudine.
In “Demo nelle stereo” ritroviamo il Fibra più sarcastico e irriverente, tra stilettate alla scena rap (“Metà Milano rappa come Guè, l’altra come Marracash / al pubblico va bene lo stesso“) e rime senza scrupoli (“Non mi dissare, frà / chi c’ha provato adesso è sotto terra come la Carrà“). Il beat è il più potente dell’intero progetto.
“El diablo” è un brano che potrebbe rientrare benissimo nella tracklist di “Mr.Simpatia”, per cattiveria e immagini forti presenti nel testo. Lo si capisce subito dalla prima strofa: “Puttane un paio, le porto in camera, le spoglio / poi sul più bello dò fuoco a tutto il bordello / bottiglie vuote ne ho bevute una decina / uccido il re, poi mi scopo la regina / non puoi fermare questa furia omicida“; la seconda denuncia invece il consumismo fuori controllo degli ultimi anni e la troppa importanza data all’immagine: “Tutto c’ha un prezzo come le donne più belle / come i vestiti firmati, più si è belli e più si vende […] / Oggi nessuna si sposerebbe Gesù / se non c’hai i soldi e vesti male resti solo“.

“Amici o nemici” viaggia su una base che richiama i mafia movie e passa ad atmosfere più introspettive raccontando prima la difficoltà nel fidarsi degli amici una volta raggiunto il successo, perché non sai se ti stanno vicino per convenienza o per reale sentimento (“Finchè ero al top tutto bene / ora sono senza cash, che succede? / Non so più che regalare agli amici / non ricevo più chiamate dagli amici“), poi c’è la consapevolezza che il dedicarsi anima e corpo alla musica abbia tolto tempo per gli altri e quindi la responsabilità di questa distanza è da dividere a metà (“Ho perso gli amici per fare questo / pensavo soltanto a fare successo“).

Tornano a susseguirsi collaborazioni illustri nella tracklist.
“Cocaine” vede la presenza di Guè Pequeno e Salmo per una traccia rap old school dove si elogia il politicamente scorretto: Fibra canta “odio il Vaticano“, Guè “fanculo la cultura della cancellazione“, il rapper sardo fa riferimenti alla pedofilia (“Quadri per i ciechi / bambini per i preti“). Il giro di piano finale spezza di colpo l’aggressività del brano ed è un notevole guizzo perché sembra anticipare le atmosfere del brano successivo, “Noia”, in cui si riflette sull’apatia che assale chi si sente prigioniero della gabbia dorata del mainstream (“Pensavo con le rime di fare la storia / ma col tempo chissà, mi è passata la voglia“); un Marracash in stato di grazia entra in punta di piedi parlando di depressione: “Fotto con la depressione, ne conosco i nei / sono andato anche in Giappone per fuggir da lei […] / Ma non puoi uscire dalla tua pelle / nè dalla depre quando ti prende“. È il pezzo che ricorda il Fibra più conscious che abbiamo conosciuto con “Guerra e pace”.

Negli anni abbiamo visto anche la sconvolgente capacità del rapper marchigiano nel raccontare storie di cronaca nera sapendosi abilmente immedesimare nell’assassino e qui ne abbiamo un esempio in “Nessuno”, storia senza riferimenti specifici a persone esistenti o a fatti realmente accaduti, ma che è uguale a tante storie sentite nei telegiornali: uno stalker che uccide l’ex moglie e il suo attuale compagno.
Fibra canta all’inizio con dolcezza, un inedito per lui, facendo pensare a una semplice canzone d’amore; poi, piano piano, ti porta nella testa malata del protagonista e ne esci scosso, turbato, inquietato. Un brano che dice “no alla violenza” non limitandosi a un semplice slogan, ma facendoti vivere il momento con una sensibilità disturbante. La vetta più alta dell’intero progetto.

Si prosegue su vette altissime anche con “Liberi”, la ballad del disco in coppia con Francesca Michielin, dove si parla dell’importanza di affrontare i momenti no senza sentirsi per forza dei perdenti anche in tempi dove sembra obbligatorio farci vedere sempre sorridenti; tendenza, questa, acuìta dai social che vengono dipinti come un nemico: “Questi social che ci dicono come devi vestire / con chi dovresti uscire / che cosa dovresti dire […] / Essere sè stessi è sempre più difficile / c’è sempre un modello vincente da seguire / provo a lasciare un messaggio che passi in mezzo / tra la voglia di vincere e la paura di fallire“.
L’ultimo verso di Fibra in questo brano è: “La musica mi ha salvato la vita“; si torna al concetto da cui è partita l’opera e, in generale, l’intento finale sembra proprio quello di riportare in luce tutti gli argomenti su cui la sua scrittura si è mossa.
“Outro”, il pezzo di chiusura, è infatti un riassunto di tutto ciò che è successo prima: il no alla droga con esempi concreti (“Il mio rapper preferito è morto per il fentanyl“), il consumismo sfrenato (“Se mi guardo in giro non ci sono buoni esempi / conta solo come ti vesti e quanti soldi spendi“), la dedizione nei confronti del rap (“Non sai che effetto fa / sapere che ancora ti ascolti i pezzi di dieci anni fa / devo tutto ai fan“), l’attualità drammatica (“Difficile stare lucidi di questi tempi / quando accendi la tv e un pazzo fatto alla guida / si prende la tua vita“), le amicizie perse (“Con gli amici intorno mi sentivo forte / brillavamo come stelle nella notte / ascoltavamo i dischi al mare sotto il sole / adesso quei momenti sono solo ombre“).
Ricordi che riaffiorano mettendo l’amaro in bocca.

“Caos” è quindi la conferma di un rapper che non ha mai perso il coraggio, che non ha paura di andare controcorrente rispetto all’attualità e quindi, in epoca di playlist, si presenta con un disco che ha una intro e un outro ed è quindi necessario da ascoltare dall’inizio alla fine per essere compreso. Si mette alla prova con basi suonate, lontane dal mondo rap, e riflettendo su sè stesso e sulla realtà che lo circonda in una musica che negli ultimi anni si è portata dietro un carico estremo di leggerezza e pressapochismo.
Non sappiamo ancora dirvi se è il suo miglior album, ci vorrà del tempo; ciò che è sicuro è che è il suo album più completo e maturo. E che sul trono del rap italiano c’è ancora lui.

Nick Tara

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