Simona Molinari, delicatezza che fa rumore. Recensione del nuovo album “Petali”

Circa 200 anni fa William Hazlitt, tra i più importanti critici e saggisti in lingua inglese, diceva che “una parola delicata, uno sguardo gentile, un sorriso bonario possono plasmare meraviglie e compiere miracoli“. Parole che oggi suonano quanto mai anacronistiche se pensiamo a come i potenti del mondo ricorrono ancora alla prepotenza delle armi sulla pelle degli ultimi, a una tv in cui vale la logica del “vince chi urla di più”, ai social che stanno diventando la fiera dell’eccesso e dell’ostentazione. Viviamo in un periodo storico ostile, rabbioso, superficiale.
E anche la musica ne sta uscendo vittima di questi tempi: le classifiche fotografano il trionfo del contenuto violento e della sciatteria, ci si sta dimenticando dell’importanza del donare un’emozione o dello spingere a una riflessione, e quasi tutti i cantanti sono impegnati a pubblicare più “bombe” che canzoni.

Simona Molinari continua invece a giocare in un campionato diverso e con il suo nuovo album – “Petali”, da oggi in tutti i negozi di dischi e sui digital stores su etichetta BMG – ci riconcilia con quei valori purtroppo perduti. Un progetto fortemente improntato su delicatezza e gentilezza, che parla alle donne spingendole a vivere la vita fino in fondo e a non dimenticarsi di “brillare quando la notte tornerà a bussare“. L’alternarsi di luce e buio è in generale nella nostra natura, bisogna averne consapevolezza non cedendo all’apatia e cercando il coraggio per rinascere.

E rinascita è infatti una delle parole-chiave di un disco che, già dal titolo, paragona il ciclo dei fiori al nostro ciclo della vita: muoriamo mille volte e mille volte rinasciamo, proprio come loro. Concetto che torna in diversi momenti e viene espresso con varie metafore, da “Un giorno riderai, un altro avrai da aggiustarti il cuore” a “La vita è bellissima in fondo ma è fatta così, un giorno si è a terra ed un altro fai a pugni sul ring“. Versi che suonano quanto mai necessari per il recente passato di Simona, che ha visto la discografia dimenticarsi di lei (questo album esce a distanza di ben sette anni dal precedente) perché, secondo il suo vecchio entourage, l’essere diventata madre la rendeva meno interessante e non collimava con il personaggio che avevano voluto lanciare.

Una storia di un’ineffabile tristezza, per certi versi anche crudele, che le ha sicuramente arrecato sofferenza ma è anche il risultato della risolutezza che esce da questo progetto. Perché Simona oggi è una donna che ha la forza di cantare “farai casa dentro di me, vieni ora che il vento più non c’è“, si racconta in “Tempo da consumare” come il frutto anche delle esperienze mancate e non solo di quelle vissute, e sa riconoscere che fragilità e precarietà sono nel nostro destino: “Siamo neve che cade e si spegne, è una strada che non si sceglie” dice nella title-track in uno struggente crescendo vocale che sarebbe perfetto per il palco di Sanremo, se non fosse per un Amadeus con l’occhio quasi unicamente strizzato verso radio e streaming.

Altro concetto importante intorno a cui ruota l’album è il concetto di libertà e ce ne fanno una fotografia quanto mai esaustiva le già estratte “Lei balla sola” e “Davanti al mare”: la prima è una samba leggera che racconta la storia di Sofia, clochard viaggiatrice e libera per cui “ogni posto è la sua casa“; la seconda una ballata soffice firmata dal sempre ispirato Fabio Ilacqua (produttore e arrangiatore dell’intero progetto) in cui il mare viene utilizzato come un mezzo per invitare a “lasciarsi andare“.
La libertà assume un valore ancora più importante ai tempi di smartphone e social, che in apparenza ci aiutano ma che in realtà sono responsabili di incomunicabilità e solitudine. “Ti ascolto appena non ho altro a cui dovermi dedicare, […] ci ritroviamo un po’ più soli in questa vita digitale” canta la cantautrice napoletana in “Un libro nuovo”, aggiungendo che “sto scrivendo la mia storia, te la voglio raccontare“. Il potere della parola, del racconto, del tornare a parlare guardandosi negli occhi, è fondamentale per superare questo modello di schiavitù.

E la parola è al centro di un progetto in cui Simona gioca in sottrazione, si presenta senza sovrastrutture, sceglie sonorità volutamente scarne e intime per mettersi al servizio delle storie che canta, ma non per questo si dimentica della freschezza del suo passato: “Il solito viavai” ha una chitarrina irresistibile che nelle strofe ricorda atmosfere da falò estivo in spiaggia, “La tua ironia” recupera atmosfere anni ’60 con un ritornello che s’incolla in testa già dal primo ascolto, mentre “Come in un film” è l’unico brano che guarda allo swing degli esordi e mostra la maestria di sempre nel muoversi nel genere.

“Petali” è così un disco importante, di quelli che restano perché non si piega alle logiche del mercato di oggi e quindi può resistere al tempo. Un disco che arriva al termine di un percorso di maturità, coscienza e crescita personale e quindi da ascoltare lentamente per coglierne ogni dettaglio. Un disco non per tutti perché chi è abituato ai motivetti di facile presa difficilmente potrà apprezzarlo, ma che può essere preso da chiunque come un’occasione per essere rieducato al bello, alla forza del racconto, alla sensibilità, alla delicatezza.
È una delicatezza che fa rumore quella di Simona perché riesce in quel miracolo di cui parlavamo all’inizio: bussa con garbo e discrezione ma poi ti scoperchia l’anima con una carezza, che è forse il modo migliore per descrivere la sua voce. E in questo periodo ne abbiamo un gran bisogno. Di carezze e di Simona.

Nick Tara

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