Ritorno alle origini per Il Cile con Le Rivolte, progetto parallelo al suo percorso da solista che ha visto la luce nel giorno di San Valentino con “Bromuro”, primo capitolo di una band che vuole crearsi spazio nell’underground affidandosi esclusivamente al sudore e alla libido del palco.
Un singolo totalmente suonato, scevro di ornamenti radiofonici ma con un sound dichiaratamente rock che valorizza il testo intriso di dolore e di riflessioni su un amore perduto.
Le Rivolte si presentano come “un menestrello che non ha mai depositato le armi, un soldato che detta il ritmo della sommossa, un alchimista di suoni ed ideali, un mercante d’arte e di rivoluzioni ed un esploratore di partiture sintetiche immolatosi alla causa. Le Rivolte esistono da sempre, fuori dalle vostre case e per le vie del mondo. Noi seguiamo solo il loro flusso e lo mettiamo in musica. Le Rivolte sono una band nata per una delle tante casualità della vita, poco prima di una pandemia, che vuole celebrare San Valentino con una canzone per i cuori rotti, ricuciti e rinati attraverso le rivoluzioni dei sentimenti“.
Su queste pagine non abbiamo mai fatto mistero della nostra grande stima nei confronti de Il Cile, in occasione dell’uscita del suo ultimo brano da solista abbiamo anche azzardato un paragone calcistico tra lui e il miglior difensore dello scorso decennio (qui), e ora l’abbiamo raggiunto per farci raccontare questo progetto e ripercorrere qualche passo importante della sua carriera.
“Bromuro” è un brano che racconta l’amore in una maniera molto viscerale, utilizzando anche metafore relative alla guerra. Com’è nata l’idea?
In realtà fa parte di un concept legato al nostro primo disco, che vorremmo prima o poi pubblicare, dal titolo: “sesso, droga e violenza”. Per una volta ho approfittato della libertà di fare parte di una band per scrivere un album con una logica più quadrata del solito: tre canzoni riconducibili alla droga (nel senso più vasto del termine, quindi intesa anche come dipendenza, alterazione percettiva etc.), tre alla violenza e tre al sesso. “Bromuro” è nella sfera del sesso, anche se in tutti i brani non ho voluto ricorrere ad una narrazione cruda ma ad una poetica più emotiva e riconducibile alla mia penna.
Ci dici solo tre aggettivi che possano descrivere questo tuo nuovo progetto con Le Rivolte?
Viscerali, autarchici e sognatori.
Questo percorso viaggia in parallelo con il tuo progetto solista, che differenze ci sono?
Come dicevo prima: una libertà di scrittura e sperimentazione, il tornare chitarrista a tempo pieno e il potere premere l’acceleratore verso mete concettuali e sonore che fanno storcere il naso all’establishment produttivo della musica mainstream.
Parlando appunto della tua carriera da solista, quest’anno festeggi il decennale dall’uscita di “Cemento armato”. Cosa è rimasto oggi di quel Cile?
La voglia di creare, una maggiore conoscenza del proprio mestiere e l’amore verso la scrittura in primis. Non è facile resistere nel mio settore, essere anche un autore mi ha sicuramente aiutato nei momenti più difficili, ma alla fine se ami questo mondo non ne esci mai del tutto, è una maledizione di cui non puoi fare a meno.
Nel 2013 hai partecipato a Sanremo con “Le parole non servono più”, brano che si è aggiudicato il Premio Sergio Bardotti come miglior testo in gara. Che ricordi hai di quell’esperienza e ti piacerebbe ripeterla?
Sanremo è una competizione ed un grande palco. Devi essere mentalmente ed emotivamente strutturato per rendere al massimo e trarne il massimo beneficio promozionale, all’epoca sicuramente non ero formato come adesso, adesso sarei davvero pronto.
I tuoi testi spiccano sempre per originalità e rappresentano un unicum nella musica italiana anche per l’utilizzo di un lessico ricercato e inusuale. Da cosa trovi ispirazione e quanto pensi sia importante distinguersi?
Io fin da bambino, come gioco preferito, mentre i miei amici magari disegnavano coi pennarelli, avevo la scrittura. Scrivevo di tutto: poesie, racconti, filastrocche. Da quella full immersion infantile scaturì già in adolescenza un bombardamento mentale di rime, frasi e concetti. Un giorno ho provato ad accompagnare tutto ciò con una chitarra e ho capito che mi piaceva.
La tua è una carriera caratterizzata anche da molte collaborazioni, tra duetti e canzoni scritte per altri. C’è un artista per cui sogni di scrivere?
Forse solo Pete Doherty dei Libertines, ma credo più che altro per sapere mille aneddoti sulla sua vita.
Nel tuo ultimo album c’è un brano che abbiamo molto amato, “Il lungo addio”, in cui ci sono frasi molto forti tra cui “Addio all’industria che fa i dischi come fossero due scarpe“. Come vedi la discografia attuale e i tanti giovani artisti lanciati negli ultimi anni?
Credo che alcuni purtroppo siano stati lanciati da un precipizio, ma fa parte del meccanismo: prima lo impari, prima ti fai meno male.
Se leggesse questa intervista una persona che non ti conosce e noi ti proponessimo di raccontarti attraverso solo una canzone di tutto il tuo repertorio, quale sceglieresti?
“Siamo morti a vent’anni” perché la vedo la più transgenerazionale.
Che progetti ci sono per il tuo futuro, sia da solista che con Le Rivolte?
Tante cose belle di cui non dico ancora nulla perché, l’ultima volta in cui mi stavo accingendo a parlarne, è scoppiata una pandemia che me li ha bloccati tutti per due anni. Quindi preferisco non rischiare.